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Cagliari, 5 febbraio 2024 – Confagricoltura Sardegna ha presentato questa mattina a Cagliari il suo programma agricolo a tre, dei quattro, candidati alla presidenza della Regione Sardegna: Alessandra Todde, Renato Soru e Lucia Chessa che si confronteranno con il responso delle urne nel voto del prossimo 25 febbraio. L’appuntamento cagliaritano arriva dopo tre iniziative organizzate sui territori dall’organizzazione di categoria: Oristano il 22 gennaio, Nuoro il 26 e Sassari il 29.

L’incontro di oggi. Ad aprire i lavori, coordinati dalla giornalista Leyla Manunza in una sala affollata del Caesar’s Hotel, è stato il presidente di Confagricoltura Sardegna, Paolo Mele, che ha portato i saluti dell’associazione agricola e fatto poi un’analisi di sistema del quadro regionale, nazionale e internazionale, dedicando un focus particolare alla riforma della macchina amministrativa delle agenzie agricole (Laore, Agris e Argea) e dell’Assessorato dell’Agricoltura. Ha poi parlato di una nuova visione, in chiave sarda, della Pac con misure integrative, e quindi del ricambio generazionale e della formazione dei giovani in agricoltura. Ha commentato inoltre la protesta di questi giorni di migliaia di agricoltori che, in tutta Europa, sono scesi in piazza. Ha preso poi la parola il direttore regionale, Giambattista Monne, che ha affrontato l’aspetto più tecnico della proposta programmatica e di idee elaborata da Confagricoltura Sardegna. È quindi arrivato il momento del dibattito tra i tre canditati che, in ordine di presentazione di lista, hanno risposto ad alcune domande, uguali per tutti e con gli stessi tempi a disposizione. L’incontro è stato quindi chiuso dal presidente nazionale di Confagricoltura, Massimiliano Giansanti.

Dati. In Sardegna abbiamo un sistema produttivo agricolo che coinvolge quasi 49mila imprese, di cui circa 47mila nella produzione primaria e circa 1800 nella trasformazione e commercializzazione. Una moltitudine di imprese distribuita uniformemente nel territorio regionale, che rappresenta ancora l’asse su cui si reggono gran parte delle comunità sarde, soprattutto quelle delle zone interne. Sommando il settore primario con la trasformazione si raggiunge un valore economico del comparto che si aggira intorno al 5,7% del PIL regionale.

Mele. “Si deve smettere di concedere finanziamenti e aiuti a chi non opera attivamente in campagna, a chi non produce economie e occupazione e a chi sottrare quindi ogni anno risorse importanti che spettano invece agli imprenditori agricoli. Questa è una battaglia che portiamo avanti da tempo e che non intendiamo abbandonare sia nel contesto locale e sia in quello europeo”. Così Paolo Mele che ha precisato: “O creiamo le condizioni perché lavorare in agricoltura sia di nuovo appetibile oppure il ciclo di spopolamento di intere aree rurali della Sardegna sarà irreversibile. O creiamo le condizioni affinché i nostri giovani rimangano, anche nei paesi più piccoli, e si riavvicinino all’agricoltura e all’allevamento oppure migliaia di imprese scompariranno nel prossimo decennio, con una perdita gravissima in termini di conoscenze e saperi della nostra tradizione e con un pericoloso abbandono delle campagne, sul piano del presidio del territorio nel contrasto agli incendi e al dissesto idrogeologico. Proporre, tuttavia, ai giovani di tornare a lavorare in campagna ci impone di investire risorse importanti, e con la Regione si possono realizzare finanziamenti ad hoc, nella loro formazione. Dobbiamo costruire in Sardegna un’agricoltura istruita, che si possa confrontare a pari livello con quelle dei colossi produttivi del pianeta o con quelle dei paesi emergenti. Dobbiamo formare agricoltori 5.0 che conoscano le lingue e possano viaggiare in tutto il mondo per acquisire nuove conoscenze. Al contempo è però indispensabile investire e creare una classe dirigente di livello nel mondo della trasformazione e della commercializzazione: alla guida dei nostri settori di marketing dobbiamo mettere il meglio dei nostri giovani laureati”.

Monne. “La produzione primaria in Sardegna (dati ISTAT 2020) vale, in termini di valore aggiunto, circa 1,23 miliardi, mentre il settore dell’agroindustria circa 460 milioni. La produzione primaria è oltre 2,5 volte quella dell’agroindustria. A livello nazionale invece la realtà è diversa, la produzione primaria vale 33,4 miliardi e l’agroindustria 29,4 miliardi. I due valori quasi si equivalgono. A livello nazionale, quindi, il rapporto tra il valore dell’agroindustria e quello della produzione primaria è più che doppio rispetto a quello sardo, rispettivamente l’87,8% e il 36,9%”. Lo ha ricordato il direttore di Confagricoltura Sardegna, Giambattista Monne, che ha spiegato: “Questi semplici dati devono indurre a riflettere su quali possano ancora essere i margini di crescita del settore a valle della produzione primaria. È evidente, che da un sistema articolato e strutturato di piccole e medie industrie alimentari non può che trarre giovamento e sviluppo tutto il comparto agricolo e quindi le filiere intere”, ha chiuso il direttore regionale.

Giansanti. “Logistica, integrazione delle filiere, valorizzazione della qualità e del legame dei prodotti con il territorio, rafforzamento della presenza sui mercati internazionali. Sono questi, in sintesi, i temi da affrontare con una visione di lungo periodo, anche alla luce di quello che sta accadendo a livello europeo”. Così il presidente Giansanti che ha aggiunto: “Le nuove scelte per il sistema agroalimentare italiano non possono prescindere dal collegamento con le politiche di settore attuate a livello regionale. Gli obiettivi strategici non possono che essere comuni e condivisi”.