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di Gabriella Bechi

Agricoltura di precisione, automazione, robotica: le nuove tecnologie irrompono nel settore primario, portando vantaggi dal punto di vista ambientale ed economico. A che punto siamo? Lo ha abbiamo chiesto al professor Paolo Gay, ordinario presso il dipartimento di Scienze Agrarie Forestali e Alimentari (DISAFA) dell’Università degli Studi di Torino, e associato di ricerca presso l’Istituto IEIIT del CNR.

Socio ordinario dell’Accademia di Agricoltura di Torino e socio corrispondente dell’Accademia dei Georgofili, è autore di più di 200 pubblicazioni scientifiche su riviste internazionali, capitoli di libri e atti di convegni e responsabile scientifico di oltre 25 progetti di ricerca competitivi. Vincitore del premio EurAgEng Outstandig Paper Award negli anni 2010 e 2024, è stato protagonista dell’evento “Smart farming: dati, robot e intelligenza artificiale in campo” nel corso del Food&Science Festival di quest’anno.

Professore, dopo quella meccanica e quella chimica stiamo assistendo ad una terza rivoluzione in agricoltura: quella digitale, grazie allintroduzione di nuove tecnologie altamente specializzate. Quali sono i fattori che spingono ad un sempre maggiore loro utilizzo da parte delle aziende agricole?

Ci sono diversi fattori, primo fra tutti la disponibilità di tecnologie, che oggi è un dato di fatto e che permette di affrontare i problemi in maniera diversa da dieci anni fa. Poi ci sono le nuove esigenze delle aziende agricole, legate alla necessità, da una parte, di ridurre i costi di produzione per essere maggiormente competitive, dall’altra di far fronte alla carenza di addetti, un problema sentito a livello mondiale, ma ancor più nel nostro Paese. Ciò significa che in futuro sempre più operazioni dovranno essere fatte in maniera automatica. C’è poi un’esigenza di carattere ambientale, legata ai cambiamenti climatici, che comporta, ad esempio, un più razionale utilizzo dell’acqua, che si unisce a quella economica, come nel caso di un minor utilizzo di input.

C’è stata anche una spinta da parte dallUnione europea con lintroduzione del Green Deal nel 2019 e poco dopo della Strategia Farm to Fork verso unagricoltura più sostenibile…

Certamente. Tutto il mondo si sta spostando verso un’agricoltura più sostenibile. L’agricoltura ha un impatto importante sull’ambiente, sia per quanto riguarda le emissioni di CO2, sia per quanto riguarda il consumo di acqua, che necessariamente deve essere ridotto, anche se non è facile. Ma se ciò comporta vantaggi economici, allora la strategia non può che essere vincente. Una congiunzione favorevole che non capita facilmente, perché spesso gli interessi ambientali sono in contrasto con quelli economici. Oggi, invece, proprio grazie alle nuove tecnologie, i due interessi possono coincidere e questo è un fatto molto positivo.

Quali sono le nuove tecnologie oggi più diffuse e quelle su cui puntare in futuro?

In primo luogo, l’agricoltura di precisione, che non è una cosa nuova, dato che ne parliamo dalla metà degli anni ’90, ma che oggi può contare su nuove tecnologie che possono, diciamo, “riattizzare il fuoco”, permettendo di ottenere risultati più importanti di quelli che si potevano ottenere negli anni 2000. Poi ci sono i sistemi autonomi, robotizzati, i droni, utilizzati in nuove operazioni, come la raccolta; e una new entry, l’intelligenza artificiale, che si è mostrata fin da subito molto interessante. Ci sono diversi modi di utilizzarla perché gli strumenti che mette a disposizione sono veramente molti. Se parliamo di data analytics, l’intelligenza artificiale può essere utilizzata dall’agricoltore per il supporto alle decisioni.

E questo è un primo ambito di utilizzo molto importante, perché consente di gestire i dati non strutturati, provenienti da più sorgenti, come satelliti, sensori in campo, droni ecc., in maniera integrata e completa. L’altro ambito in cui l’IA agisce è rappresentato dagli algoritmi utilizzati per il controllo delle macchine, per, ad esempio, localizzare piante infestanti da eliminare o individuare nella chioma i frutti da raccogliere. Oggi esistono già diverse macchine, alcune allo stadio di prototipo, altre già in commercio, che utilizzano l’intelligenza artificiale per svolgere delle funzioni complesse, fino a poco tempo fa non meccanizzabili.

Ci sono limiti normativi allutilizzo di queste nuove tecnologie?

In alcuni casi purtroppo ancora sì. I droni, ad esempio, che soprattutto in viticoltura potrebbero permettere di superare le difficoltà legate ai terreni e alle pendenze, operando là dove le macchine convenzionali non possono arrivare, in Europa non possono essere ancora utilizzati per i trattamenti. Alcune deroghe ne consentono l’utilizzo per la sperimentazione da parte degli istituti di ricerca e, in alcuni Paesi, per contesti particolarmente difficili. In Germania, ad esempio, per terreni particolarmente scoscesi in sostituzione all’elicottero, in Francia per i trattamenti su vigneti in forte pendenza e sul banano.

In Italia stiamo intensificando la sperimentazione, che va a costruire una base di dati scientifici che saranno poi messi a disposizione del ministero della Salute e degli altri organismi che saranno chiamati ad esprimersi quando la normativa europea aprirà all’utilizzo di questi nuovi strumenti. Sui sistemi autonomi in campo la normativa non è ancora completa, soprattutto per quel che riguarda le macchine a guida autonoma.

Le tecnologie sono sempre più disponibili. Ma i costi per le aziende sono ancora troppo alti?

Normalmente quello che si osserva in tutte le tecnologie è un progressivo calo dei costi più passa il tempo e quando si allarga la base di utilizzo e, parallelamente, un aumento delle prestazioni. Questo è quello che ci si attende. Il bilancio complessivo va fatto in termini di rapporto costi-benefici. Sulle macchine di raccolta, per esempio, c’è molta attesa perché, quando si arriverà a disporre di sistemi autonomi affidabili, il beneficio che si otterrà sarà molto elevato, tale da giustificare i costi da sostenere per l’acquisto.

In questo mercato, lItalia come si colloca nel panorama internazionale?

Sullo sviluppo delle nuove tecnologie e dunque nella disponibilità di nuove macchine, l’Italia è all’avanguardia, grazie alla sua forte tradizione di costruttori di macchine agricole. Per quanto riguarda l’utilizzo in campo, normalmente sono le grandi aziende ad aprire la strada, seguite in scia dalle aziende più piccole, che dispongono di minori risorse.

Spesso si guarda con diffidenza a queste nuove tecnologie per il timore che esse possano sostituire lessere umano, con conseguenze legate alla perdita di posti di lavoro. Esiste questo pericolo?

In realtà noi ci troviamo nella situazione opposta. La carenza di manodopera rischia di mettere in crisi l’agricoltura. Lo abbiamo visto all’epoca del Covid quando i flussi di lavoratori temporanei dall’estero erano limitati. Assistiamo ad una progressiva riduzione del bacino dei lavoratori, una situazione che pare essere irreversibile. Possiamo avere una previsione del prossimo futuro anche osservando cosa succede negli istituti agrari, dove ogni anno si assiste ad una riduzione delle classi. Occorre quindi lavorare sullo sviluppo di nuove figure professionali, di nuove competenze e sulla formazione, perché le nuove tecnologie dovranno essere governate.

Qual è il ruolo che svolgono la ricerca e la collaborazione con le Università come quella in cui lei lavora?

Sono molti i ruoli, oltre, chiaramente, alla formazione delle nuove generazioni di agronomi. In primo luogo, collaborare per lo sviluppo delle tecnologie, da soli o insieme alle aziende che producono macchine; in secondo luogo, testare, sperimentare in campo e individuare i percorsi per renderle più fruibili e adatte ai nostri territori; terzo aspetto è lo studio degli aspetti normativi e il lavoro con le istituzioni e gli enti preposti alle certificazioni. In ultimo, siamo impegnati con il mondo agricolo per divulgare e far conoscere alle aziende queste nuove opportunità.

L’articolo è presente sul numero di aprile 2025 di Mondo Agricolo, la rivista dell’agricoltura

Fonte: Confagricoltura